Intervista al prof. Leonardo Milani rilasciata al mensile di cronaca AREA 3 NEWS sul mondo del lavoro giovanile.
Leonardo Milani ha fondato e dirige l’Istituto di Psicologia del Benessere, dove insegna le tecniche di automiglioramento e di autostima. Da dieci anni è docente presso l’Istituto di Scienze Militari Aeronautiche dell’Aeronautica Militare Italiana ed è il mental trainer della Pattuglia Acrobatica Nazionale, .Frecce Tricolori. Ha collaborato a lungo con il Ministero dell’Istruzione e con redazioni quali “Tg Due Salute’; “Medicina 33?; RaiUno, RaiSport e SkySport, per la realizzazione di servizi legati al tema del benessere. È impegnato in numerosi ambiti formativi, scolastici, sportivi e aziendali e il suo metodo ottiene eccellenti risultati ovunque venga adottato. Il prof. Milani ci spiega in che modo la crisi economica e la mancanza di lavoro incidano sulla psicologia delle persone, in particolare su quella dei giovani alla ricerca del loro primo impiego e su quella degli adulti che si ritrovano senza lavoro.
Professore, i giovani come vivono lo crisi economica e come affrontano lo difficile ricerca di un lavoro?
«La drammatica situazione economica purtroppo induce i giovani ad affrontare la ricerca del lavoro con un atteggiamento mentale negativo. Secondo un sondaggio il 30% dei ragazzi ormai non cerca nemmeno, perché ritiene che sia impossibile trovare lavoro di questi tempi. Bisogna tenere presente, però, che un atteggiamento rinunciatario conduce a un fallimento certo, al contrario un atteggiamento positivo mette nelle condizioni di avere delle chance.
I giovani devono buttarsi nella ricerca di un lavoro con entusiasmo e curiosità, con fiducia e grinta.
Non da ultimo, serve capacità di adattamento, che non significa accontentarsi, significa essere critici e consapevoli per volgere ogni situazione, anche la più negativa, a proprio vantaggio».
E gli adulti come affrontano lo crisi economica? Come si spiegano i numerosi suicidi degli ultimi tempi?
«Per gli adulti la situazione è complicata dal fatto che hanno più responsabilità e meno chance. Un esempio concreto: un adulto che perde il lavoro ha meno possibilità di trovarne un altro, rispetto a un giovane, e al contempo sa di avere una famiglia sulle spalle, la rata del mutuo e le varie tasse da pagare.
In ogni caso, quelli che arrivano al suicidio sono i soggetti più fragili, quelli che sono naturalmente portati alla depressione.
Non tutti gli organismi affrontano le difficoltà allo stesso modo, alcuni soggetti sono incapaci (a livello cerebrale) di riorientarsi, così davanti al problema si disorientano e possono anche arrivare alla violenza, contro gli altri o contro se stessi. È una questione scientifica: la chimica del nostro cervello influenza i nostri pensieri e i pensieri influenzano a loro volta i nostri comportamenti».
Il suicidio è una forma di protesta?
«Ci si uccide per disperazione non per protesta, generalmente. Questi individui fragili di cui parlavamo prima, davanti alla difficoltà economica o alla perdita del lavoro non riescono a intravvedere una via d’uscita, non vedono prospettive né futuro e non trovano altra soluzione che togliersi la vita.
I terroristi si uccidono per lanciare messaggi, sono allenati proprio per fare questo, ma un soggetto normale non arriva a togliersi la vita solo per protestare: c’è poco di razionale nel suicidio»