Stress attack

Con un po’ di testa si può evitare.
Uno studio avverte: quello troppo acuto danneggia il cervello.
La difesa? Farmaci, certo. Ma anche qualche semplice regola.

Lo stress? 

Meglio evitarlo perché, anche quando dura poco, può produrre danni irreversibili al nostro organismo. Per esempio, alterando in modo permanente la struttura del cervello. L’allarme viene dallo psichiatra americano J. Douglas Bremner, che ha dedicato all’argomento il suo ultimo saggio (Does Stress demage the brain? W. Norton 2002).

Lo stress fa male al cervello?

La risposta, a quanto pare, è affermativa, e Bremner, che alla Emory University di Atlanta si occupa di immagini biomedicali e risonanze magnetiche, avrebbe “visto” gli effetti dello stress sulla nostra materia grigia.
Analizzando con la risonanza magnetica funzionale il cervello di persone sottoposte a forme gravi di stress, ha notato una riduzione nelle dimensioni dell’ippocampo, un’area responsabile di importanti funzioni cognitive tra cui la memoria. Colpa del cortisolo, un ormone rilasciato dalle ghiandole surrenali, ma regolato dall’ipotalamo, che permettere all’organismo di reagire in situazioni di emergenza.

“Il cortisolo è un’arma a doppio taglio”, dice Bremner. “Ci protegge nel breve periodo ma è dannoso a lungo termine. D’altra parte, a livello evolutivo è più importante che il soggetto viva abbastanza da trasmettere il proprio patrimonio genetico ai discendenti, piuttosto che raggiungere un’età avanzata”. Quello cui si riferisce Bremner, che ha cominciato le sue ricerche lavorando con i veterani del Vietnam, è uno stress particolarmente acuto, in grado di causare il “disturbo post traumatico da stress” o Ptsd. “Ma non c’è bisogno di essere stati in guerra per soffrire di Ptsd”, dice lo psichiatra. “Ne può essere vittima anche a chi ha subito un’aggressione, oppure ha rischiato la vita in un incidente o in una calamità naturale. Anche se alcune persone sono più vulnerablli di altre, secondo le mie statistiche il problema riguarda circa il 10 per cento della popolazione americana. E non c’è ragione di pensare che in Europa le cose vadano meglio”.

“In Italia le percentuali non sono così alte”, dice Massimo Biondi, docente di psichiatria all’Università di Roma La Sapienza. “Forse anche perché ci sono meno dati. Tuttavia esistono sottopopolazioni a rischio (poliziotti, pompieri, medici) in cui i danni da stress acuto sono molto evidenti. Ma lo stress acuto non è l’unico rischio: anche in condizioni di stress cronico aumenta la produzione di cortisolo, che ha un effetto tossico sulle cellule nervose”. Si tratta di scoperte che hanno rivoluzionato la neuropsichiatria.
“Per anni abbiamo visto il cervello come una scatola chiusa, immodificabile, oggi sappiamo che è vulnerabile agli stimoli psicologici, come lo stomaco o il cuore”, prosegue Biondi. E il cortisolo è solo una delle sostanze responsabili: “Io stesso ho dimostrato sperimentalmente che un evento luttuoso provoca nel cervello di chi lo vive una vera tempesta chimica con una sovrapproduzione di neurotrasmettitori: noradrenalina, serotonina, adrenalina. Può trattarsi di un fenomeno transitorio, ma se lo stato di stress prosegue, nell’arco di alcune settimane le cellule nervose si modificano, con conseguenze su tutto l’organismo”. E a scatenare la crisi può essere la perdita di una persona cara, ma anche una separazione, un pensionamento vissuto male, l’allontanamento dei figli da casa o una grave malattia che modifica il progetto di vita.

Come si difende il nostro organismo da queste aggressioni?

Uno dei massimi ricercatori in questo campo, l’americano Bruce McEwen, docente di neuroendocrinologia alla Rockefeller University, nel suo ultimo libro La fine dello stress come lo conosciamo (The end of stress as we know it, Dana Press, 2002) introduce un nuovo concetto, quello di “carico allostatico”.
In sostanza, sostiene McEwen, non è detto che una volta superato lo stress l’organismo torni nella condizione precedente, come si riteneva finora. Nel migliore dei casi, si crea uno stato di “allostasi”, ossia un nuovo equilibrio su basi diverse.
“Si tratta di una nuova teoria che sintetizza bene la necessità di affrontare le difficoltà con il cambiamento, per adattarsi a nuove situazioni”, dice Francesco Bottaccioli, direttore della Scuola di Medicina Integrata Simaiss. “E’ proprio quando questo nuovo equilibrio non si crea che l’organismo è costretto a sopportare un “carico allostatico”, un peso in più che può essere quantificato, per esempio misurando il corti solo presente nel sangue.
Proprio McEwen ha mostrato che, in topi sottoposti al cosiddetto “stress da restrizione”, ossia rinchiusi in gabbiette molto piccole, il tempo di sopravvivenza dei neuroni dell’ippocampo si dimezzava in tre settimane. “L’ippocampo è l’orologio biologico che regola la produzione giornaliera del cortisolo”, dice Bottaccioli. “Se i suoi sensibilissimi recettori vengono danneggiati da una sovrapproduzione di questo ormone, si possono presentare disturbi del sonno o dell’umore.

Cosa possiamo fare per limitare i danni?

“Non sappiamo ancora fino a che punto possa arrivare un essere umano prima di soccombere, ma ci sono buone speranze che l’eliminazione dei fattori che causano stress e una buona terapia possano consentire al cervello di recuperare le proprie funzioni”, dice McEwen. “Si può provare con la psicoterapia”, dice Biondi, “magari unendola a farmaci antidepressivi, che in realtà consentono all’organismo di “risparmiare” serotonina, il nostro antidepressivo naturale”.