Giorgia, tredici anni, ha delle responsabilità da adulta. Al mattino, prima di andare a scuola, prepara la colazione per tutta la famiglia e accompagna le sorelline all’asilo. Quando torna a casa si occupa delle faccende domestiche, intrattiene le bambine e cerca di studiare. I genitori sono separati, e mamma rientra dal lavoro stanca e nervosa.
Giorgia ascolta le sue lamentele, la consola quando ha delle crisi di pianto, l’aiuta nella preparazione della cena e mette le piccole a letto. Con questo ritmo di vita, non c’è da stupirsi se Giorgia ha sogni agitati, stenta ad alzarsi al mattino, ha spesso mal di testa e a scuola non riesce a concentrarsi. I ragazzi come lei sono stressati non soltanto per il numero di mansioni che svolgono, ma soprattutto per le responsabilità che gravano sulle loro spalle. Giorgia si sente responsabile delle sorelle, di sua madre e della casa: responsabilità che assorbono gran parte delle sue energie e la rendono ansiosa.
Consideriamo ora il caso di Fabio, tre anni. Trascorre l’intera giornata all’asilo e poiché i genitori vanno presto al lavoro si alza all’alba ed è affidato ad una vicina che gli fa fare colazione e poi lo accompagna al pulmino che lo porta all’asilo. Alle 17 la stessa vicina lo va a riprendere e lo tiene con sé fino al rientro dei genitori. Fabio andrà a letto soltanto intorno alle 22,30. In totale, resta fuori di casa dodici ore passando tra varie mani e vari ambienti. Un bambino di appena tre anni deve far ricorso a tutte le sue energie per adattarsi a tanti cambiamenti nell’arco della giornata: non ci si può stupire se all’asilo è lagnoso, agitato e se invece di giocare con gli altri bambini si apparta in un angolo e si succhia il pollice.
Nei preadolescenti e nei bambini un eccesso di responsabilità e di cambiamenti porta facilmente un sovraccarico emotivo. Ma queste non sono certo le uniche cause di stress. Per esempio quando i genitori litigano i bambini si spaventano: se poi i litigi sono frequenti e violenti possono essere sopraffatti dall’angoscia, anche se non ne parlano.
Stressati possono essere anche i bambini che non giocano, che conducono una vita sedentaria, isolata, inadatta alla loro età, o i cui genitori hanno delle aspettative, per le loro prestazioni in campo scolastico o sportivo, decisamente al di sopra delle loro possibilità e/o della loro tenuta psicologica. Alcuni bambini e adolescenti hanno doti spiccate in alcuni ambiti e tuttavia una pressione eccessiva degli adulti, una competitività esasperata, una tabella di marcia incalzante possono non soltanto stressarli, ma anche indurli a rinnegare il proprio talento, di cui si sentono espropriati. E naturalmente sono causa di stress i maltrattamenti, gli abusi, la trascuratezza e le gravi incomprensioni, i cui effetti possono farsi sentire anche in età adulta sotto forma di ansia, instabilità emotiva o depressione.
Il sovraccarico emotivo può essere provocato anche da una separazione di qualsiasi genere. Il divorzio dei genitori, la morte di una persona cara, la partenza della babysitter, così come un genitore che si allontana da casa per lavoro, sono tutte situazioni stressanti. Separarsi rientra nel normale processo di crescita e se a nessun bambino può essere risparmiato il dolore di una separazione, troppe separazioni possono però produrre i classici sintomi dello stress: dal pianto all’enuresi, dagli incubi notturni all’irascibilità, dai disturbi di stomaco all’emicrania, dal rifiuto di giocare alla difficoltà di concentrarsi.
Stress troppo frequenti possono indebolire le difese immunitarie, rallentare il ritmo della crescita, produrre uno stato di affaticamento cronico, facilitare infezioni alle vie respiratorie.
Gli ormoni dello stress
Due studi recenti, condotti in ambienti opposti, un’isola dei Caraibi e Montreal, in Canada, hanno entrambi mostrato che gli stress più insidiosi sono quelli che bambini e ragazzi vivono nel rapporto con i familiari, in particolare con i genitori e/o gli adulti da cui sono dipendenti e a cui sono emotivamente legati. La prima ricerca è stata condotta con una metodologia originale. Nell’arco di 13 anni l’antropologo Mark Flinn dell’Università del Missouri ha esaminato 287 soggetti di Dominica – di età compresa tra i tre mesi e i 18 anni – raccogliendo 25.000 campioni di saliva, di cui sono stati misurati i livelli di cortisolo. Poiché gli abitanti dell’isola caraibica trascorrono gran parte della giornata all’aperto, non è stato difficile per Flinn, servendosi di semplici gomme da masticare, raccogliere la saliva e al tempo stesso farsi raccontare dai bambini e dai ragazzi se in quei giorni avevano vissuto esperienze che li avevano resi ansiosi o preoccupati.
Quando qualcosa ci minaccia, gli ormoni della corteccia surrenale e altri ormoni contribuiscono a modulare la produzione di energia e a mettere in allerta corpo e mente. Senza questi ormoni, di cui il cortisolo è una spia, non riusciremmo a far fronte alle difficoltà quotidiane. Come gli adulti, anche i bambini hanno delle risorse per fronteggiare le situazioni di emergenza; ma le stesse modifiche fisiologiche che sono utili nelle emergenze possono creare dei problemi fisici e psicologici quando protraggono nel tempo, come accade nel caso di stress ripetuti o costanti e di stati di ansia diffusi. La misurazione del livello di cortisolo nella saliva ha indicato che gli stress maggiori e più insidiosi per i giovani di Dominica non erano tanto quelli legati alla competizione scolastica, alle liti con i compagni o la povertà, quanto quelli connessi alle loro dinamiche con gli adulti, come un violento bisticcio tra genitori, una nonna che picchia il nipotino, un padre che abbandona la casa o un genitore che, per lavoro, si allontana per mesi.
I dati di Flinn concordano con quelli dello studio canadese condotto con lo stesso metodo della raccolta della saliva dalla neuroendocrinologa Sonia Lupien della McGill University di Montreal. Lo studio canadese che i bambini e ragazzi con più alti livelli di cortisolo salivare vivevano in famiglie dove erano presenti forti tensioni tra i genitori o tra persone che formavano nuclei domestici instabili, oppure nei casi in cui un adulto con cui il bambino aveva un legame forte si assentava per lunghi periodi. Da questi studi è anche emerso che l’assenza della madre tra i 9 e i 16 anni ha l’effetto di innalzare il livello di cortisolo più nelle femmine che nei maschi, mentre l’assenza del padre nell’infanzia crea più stress nei maschi.
Uno dei risultati più inquietanti della ricerca di Flinn è che i bambini continuano a reagire con lo stesso livello di tensione a situazioni stressanti già sperimentate. Ciò che infatti distingue i bambini dagli adulti è la difficoltà che essi hanno ad assuefarsi agli stress. Al contrario degli adulti, che tendono ad adattarsi psicologicamente agli stress ripetuti, i bambini reagiscono ogni volta come fosse la prima. Queste reazioni sono abbastanza logiche dal punto di vista evolutivo: lo sviluppo in età infantile dipende dalle cure, dalle attenzioni e dalla guida degli adulti ed è naturale che, per assicurarsi un sostegno emotivo e fisico, i più giovani debbano essere sensibili al comportamento degli adulti, il che però li rende particolarmente recettivi alle tensioni familiari e agli abbandoni delle loro figure di attaccamento. Non possiamo quindi valutare gli effetti degli stress sui bambini usando lo stesso metro che usiamo per gli adulti.
Le ansie degli adolescenti
Per quanto riguarda gli adolescenti, essi vivono una fase di profonda insicurezza dovuta ai cambiamenti che avvengono in loro stessi e, all’esterno, nei rapporti con la società, la scuola, gli amici, la famiglia. Di fronte a tanti cambiamenti concomitanti si sentono goffi, insicuri del loro aspetto fisico, della loro preparazione o cultura, della loro sessualità, non sanno come comportarsi in diverse situazioni sociali, che cosa dire in un determinato frangente. Vorrebbero piacere ma temono di non riuscirci, vorrebbero essere al centro dell’attenzione ma hanno paura dell’insuccesso. Gli adolescenti temono inoltre di fare cattiva figura, di essere giudicati negativamente o, peggio, di non essere neppure notati e, come reazione, passano il tempo a criticare con gli amici l’eccessiva sicurezza che riscontrano negli altri. Questa insicurezza li rende facili prede di una forma particolare di ansia, l’ansia sociale, che nasce dai rapporti con gli altri e può essere all’origine di imbarazzo, senso di inadeguatezza, sofferenza morale e, in ultima analisi, stress.
Un adolescente è alla ricerca di una sua identità, e tende quindi a essere molto concentrato su di sé, su quella sua immagine che cerca di comunicare agli altri, da cui si attende conferme e feed-back incoraggianti. La sua autostima e la sua identità dipendono soltanto in parte dalla percezione che ha di se stesso, ma in larga misura derivano dall’immagine che gli altri, fungendo da specchio, gli rimandano. Questi ultimi possono “confermare” l’immagine che l’adolescente cerca di dare di sé oppure “rifiutarla” perché la considerano inadeguata, irrealistica, non credibile o, ancora, “disconfermarla”, ossia ignorare la presenza di lui/lei comportandosi come se non esistesse o come se la sua presenza non avesse rilevanza alcuna all’interno del gruppo, della classe, della comunità. Alla domanda “Nei rapporti con gli altri cosa temi di più?” un gruppo di 120 adolescenti napoletani, maschi e femmine, ha indicato al primo posto “l’indifferenza, la mancanza di attenzione e di affetto”. Seguono, al secondo posto “le brutte figure, la goffaggine, l’insuccesso” e al terzo “la derisione, i giudizi negativi”. Quindi, in ordine decrescente: “l’inganno, il tradimento”, “parlare in pubblico, essere al centro dell’attenzione”, “l’aggressività, l’ostilità e la competitività”, “le persone antipatiche”, “l’invasione della privacy”, “gli approcci sessuali”. Poiché la “disconferma” è un’esperienza dolorosa per un giovane che è alla ricerca di una identità all’interno del proprio gruppo di riferimento, non è infrequente che una cattiva reputazione venga ritenuta preferibile all’indifferenza: nel primo caso infatti “esiste”, nel secondo non si è nessuno.
Altre fonti di stress per gli adolescenti possono essere: le frustrazioni scolastiche, l’insoddisfazione per le forme che ha assunto il proprio corpo a partire dalla pubertà, i problemi con gli amici, vivere in un quartiere degradato, la morte di una persona cara, una delusione sentimentale, una malattia cronica o seri problemi familiari, il cambio della scuola e la conseguente perdita del gruppo degli amici, un’esperienza particolarmente dura come un incidente di macchina, un abuso fisico o sessuale o altri eventi violenti. Lo stress è massimo quando il giovane ha la percezione di non avere vie d’uscita o alternative, una condizione che lo fa sentire impotente, privo di risorse e in balia degli eventi. C’è anche un effetto cumulativo degli stress, cosi chè se tutti quanti, sia pure in misura variabile, hanno risorse personali (resilenza) che consentono loro di fronteggiare un livello medio di stress, la capacità di reagire è messa a dura prova quando nella vita di un ragazzo (come di un bambino e di un adulto) gli stress sono numerosi e concentrati nel tempo. Alcuni adolescenti possono cercare di ridurre o compensare l’angoscia provocata dagli stress facendo ricorso all’alcool, al fumo, alla droga o agli psicofarmaci. Altri possono cercare di scaricare la tensione attraverso acting-out violenti, altri ancora possono ricorrere a rituali ossessivi, porsi sulla difensiva o chiudersi via via nel cerchio delle piccole o grandi manie. Ma i ragazzi possono adottare anche altre strategie non rischiose, come ascoltare musica, fare attività artistiche, impegnarsi in esercizi fisici, prendersi delle pause, ristrutturare le priorità, crearsi una rete di amici e così via. Tendono però ad essere in generale, più impulsivi degli adulti. E’ bene quindi incoraggiarli a trovare delle “risposte di rilassamento” nei confronti delle situazioni stressanti che si adattino alle loro esigenze e alla loro personalità” non bisogna infatti sottovalutare le notevoli differenze che esistono tra un ragazzo e l’altro. Da parte loro, gli adulti dovrebbero mostrarsi disponibili all’ascolto e aiutarli a identificare con esattezza le fonti di stress che non sempre risultano immediatamente chiare e riconoscibili.
Di Anna Oliverio Ferraris